La lingua del diavolo va tutta in Crusca (Contributo in atti di convegno)

Type
Label
  • La lingua del diavolo va tutta in Crusca (Contributo in atti di convegno) (literal)
Anno
  • 2012-01-01T00:00:00+01:00 (literal)
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  • Giulio Vaccaro (2012)
    La lingua del diavolo va tutta in Crusca
    in Coesistenze linguistiche nell'Italia pre- e postunitaria, Aosta-Bard-Torino, 26-28 settembre 2011
    (literal)
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  • Giulio Vaccaro (literal)
Pagina inizio
  • 663 (literal)
Pagina fine
  • 677 (literal)
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  • Coesistenze linguistiche nell'Italia pre- e postunitaria. Atti del XLV Congresso Internazionale di Studi della Società di Linguistica Italiana (literal)
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  • 15 (literal)
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  • OVI - Istituto opera del vocabolario italiano (literal)
Titolo
  • La lingua del diavolo va tutta in Crusca (literal)
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  • 978-88-7870-722-1 (literal)
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  • Tullio Telmon, Gianmario Raimondi e Luisa Revelli (literal)
Abstract
  • «Difatti, così come essa è, ha un suo carattere quasi regionale, da una parte, dall'altra un culto che ha del mistico per l'antico, e così questo come quello possono apparire non opportuni come per lo innanzi, oggi che l'Italia, una, quasi non scorge più nel suo bel corpo le saldature che per l'unità occorsero e nel culto del suo passato letterario non ha più ragione di raccogliersi come su suo unico possibile vanto». Con queste parole, nel 1921, la Relazione della Commissione ministeriale per la riforma dell'Accademia della Crusca, stesa da Cesare De Lollis, Giovanni Gentile e Vittorio Rossi (ma in gran parte ispirata dal filologo abruzzese) saldava inscindibilmente il fallimento, sia progettuale sia pratico, della quinta impressione del Vocabolario degli Accademici della Crusca all'avvenuta Unità d'Italia. La quinta Crusca era, effettivamente, partita per costruire un «nuovo Vocabolario Italiano, che è il gran libro della Nazione» e aveva in realtà anche provato a collegare il Risorgimento della nazione con il «risorgimento» dell'Accademia stessa, cominciato con la ricostituzione della Crusca per volontà di Napoleone (anch'egli indicato come «re d'Italia»). Tuttavia, la scelta conseguente -- dal punto di vista lessicografico -- fu verso un'opzione essenzialmente puristica, dichiarata, neanche troppo tra le righe, nella stessa Dedica al Sovrano: «i nostri cittadini [...] lasciaronsi andare per un tempo alla servile imitazione del forestiero, prima cagione del guasto e della contaminazione della lor favella; altrettanto ora, rialzati dal vostro braccio, se ne mostreranno schivi, e torneranno coll'amore e con lo studio a ricercare nei monumenti del genio dei padri loro il pensiero e la parola». Si analizza dunque la posizione dei compilatori della quinta Crusca di fronte al problema dell'unità linguistica e politica, con particolare attenzione al dibattito interno all'Accademia (suscitato in particolare da Pasquale Villari) sulla necessità di uno strumento lessicografico nuovo e diverso, che troverà però la sua prima realizzazione solo nell'incompiuto dizionario della Reale Accademia d'Italia. (literal)
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